buy Lyrica medicine La mia passione per i materiali compositi viene da lontano, da passioni vissute in prima persona come la vela, le competizioni automobilistiche che hanno sempre stimolato una forte curiosità verso le performance di alcuni materiali. Forse non tanti sanno che il primo uso al mondo della fibra di carbonio in quanto a quantità utilizzate per la produzione è occupato con largo margine dalla fabbricazione delle canne da pesca. A seguire la produzione di mazze da golf, solo al terzo posto il settore ciclistico e lontanissimo quel settore “racing” di competizioni automobilistiche e motociclistiche per le quali comunque conosciamo le incredibili caratteristiche di leggerezza e resistenza di questo materiale. Qualche giorno fa il titolare di un notissimo marchio di accessori per biciclette con il quale sto lavorando per un nuovo modello che sarà presentato ad aprile al LikeBike di Monte-Carlo mi raccontava di come gli americani abbiano TUTTI almeno una coppia di canne da pesca. Andare a pescare è una delle “scuse” con le quali i padri americani cercano di passare tempo con i loro figli e poichè la pesca ha lunghi tempi morti ed è tendenzialmente noiosa diventa una ottima occasione per “parlare” con i propri figli. Canne da pesca quindi come strumenti di comunicazione e non di caccia e mazze da golf per consentire ai businessman di concludere affari sui green di tutto il mondo.
Pregabalin purchase canada Poco più di un anno fa, seguendo un percorso sperimentale sulle lavorazioni dei materiali compositi, mi sono trovato a che fare con centinaia di piccoli frammenti di “prepreg” (il carbonio “finito”, preimpregnato) mescolati a frammenti metallici di scarto. Non so spiegare la logica e il percorso che mi ha portato a pensare di unire un metallo e un materiale composito in un gioiello ma quella immagine di rifiuti di laboratorio era “bella”. Mi spiace non averla fotografata la conservo perfettamente in mente e sarebbe bello poterla condividere. Ho iniziato a disegnare schegge cercando di trovare un equilibrio tra il composito e il metallo schegge che “copiassero” la forma del viso, che potessero avere proporzioni adatte ad ogni forma di viso. Pensavo a orecchini che si adattano alla fisionomia di una persona con dimensioni diverse e questo è difficile con un materiale che tendenzialmente viene stampato. In laboratorio stavano sperimentando tecniche di taglio “microwaterjet” (una tecnologia di taglio ad acqua molto preciso utilizzato per realizzare ingranaggi di orologi in metallo non “modificato” dal calore del laser o da utensili) proprio sui materiali compositi e proprio da quella sperimentazione sono nati i primi prototipi degli orecchini “GlideSurf”.
La progettazione dell’elemento in composito ha richiesto contemporaneamente quella della borchia in metallo prezioso (oro, argento e perfino palladio) e della sottile lamina realizzata a mano che nella versione “2” si interpone tra pelle e carbonio in modo fluido e leggero. Leggerezza, dimensioni variabili e una forma semplice ma elegante fanno di GlideSurf oggi un gioiello molto apprezzato nato per caso in un laboratorio tra trucioli e schegge di scarto.